Franco Urani, il manager angelo delle favelas


Franco Urani, il manager angelo
delle favelas



Franco Urani e Maria Giuliana nel villaggio di Villa Canoas gestito dall'associazione Para Ti







Ha dedicato la vita ai bambini di Rio

LUCIANO BORGHESAN
TORINO
Se senti Fiat pensi alle auto, e invece in Brasile, nel 1964, l’azienda di Torino avviò la produzione di trattori. Diede l’incarico a un dirigente 34enne. Comincia così la storia di Franco Urani divenuto «trasformatore» di favelas in quartieri, una vita che non si conclude con la sua morte avvenuta sabato scorso, a 79 anni, qui, nella sua città. La moglie Maria Giuliana, i figli Andrea e Lidia proseguiranno le attività di «Para Ti» a Rio de Janeiro in favore di migliaia di famiglie indigenti. Continueranno ad aiutare i bimbi (350 tutelati l’anno) a studiare, a imparare un mestiere per non combattere la fame ogni giorno. Oggi tra loro ci sono universitari e laureati.



«Ci siamo conosciuti alla Fiat, io, nata a Torino, di origine veneta di Conegliano, lui torinese doc. Vivevamo sereni sotto la Mole. Quando Franco mi disse che lo spedivano in Brasile mi disperai», racconta Maria Giuliana davanti ai nipoti Davide, Tomas, Pedro e Francisco. 


E’ l’ora del funerale, la chiesa di San Lorenzo stracolma di amici che hanno contribuito a sostenere la «mission Urani» in Brasile. 
«Sei stato un guerriero di pace..», Mauro Villone, fotoreporter e operatore culturale, non trattiene le lacrime, durante l’orazione funebre, ripercorrendo il ventennale cammino di Franco per portare salute, scuola e lavoro tra la gente di Vila Canoas, a dieci chilometri da Ipanema, la più rinomata spiaggia turistica di Rio.

L’abbraccio dei benefattori è caldo. Fuori fa freddo e la pioggia è incessante. Più tardi il silenzio. La casa in riva al Po parla di lui, tra foto e progetti, sul tavolo c’è la bozza dell’autobiografia cui ha lavorato fino all’ultimo giorno. Il racconto di Maria Giuliana è interrotto dalle telefonate che trasmettono il dolore di una comunità unita dall’amore per il prossimo. 

«Non parlate di me, era lui l’anima», chiede Maria Giuliana. «Mamma! Non dire così, senza di te, papà come avrebbe fatto?», interviene Lidia mostrando le foto con i genitori attorniati dai volti sorridenti dei «menino» di Rio.
Lo sviluppo della Fiat nel mondo ha favorito anche l’esportazione di modelli di civiltà e amicizia come quello di «Para Ti». Ma ci vuole gente col «cuore Urani» per farli diventare realtà. Franco lasciò la Fiat nel 1979, lo fece un po’ deluso dalle scelte per il futuro. Lui, in sei anni, era riuscito a realizzare la fabbrica per i trattori e, nel 1973, aveva firmato l’accordo con lo stato del Minas Gerais per lo stabilimento auto di Belo Horizonte. Questo complesso di attività è ancora il più importante investimento Fiat all’estero: 800 mila auto nel 2008.

Da buon laureato in Agraria, continuò a seminare. Aveva conosciuto le difficoltà del profondo Brazil, e così coltivò creature da far diventare uomini sani e liberi. Dai contatti con Giovanni Agnelli, Cesare Romiti, Carlo De Benedetti, a quelli con i Pedro, i Ramon. «La casa che avevamo acquistato a San Conrado - ricordano - aveva a fianco terreni liberi che furono occupati da duemila persone che costruirono baracche di legno e lamiera, pericolanti, senza igiene». Invece di alzare muri, Franco e Maria Giuliana coinvolsero amici e autorità per dar vita a scuole di cucito, per bambini, la mensa gratis.

Con aiuti governativi, trasformò le favelas in «barrio», quartieri popolari. Trovò a Torino l’onlus «Come Noi» (offerte sul c/c 29696101) che finanziò il progetto per 1,3 milioni di dollari in convenzione con il Comune di Rio per costruire un asilo per 180 bambini, un centro di assistenza, un presidio di salute, un centro di informatica. Infine, Urani si attivò per favorire l'acquisto delle case a chi le abitava. Nel 2007 il Comune di Rio ha conferito all'unanimità la cittadinanza onoraria a Franco Urani. E quest’anno l'iniziativa di Vila Canoas è diventato il Progetto Pilota di riabilitazione di tutte le favelas della città.

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